Scritti critici
DAL REALISMO POETICO ALLA POETICA DELL'IMMAGINARIO
Il cammino di un artista spesso attraversa – e di questi tempi ha attraversato – un passaggio senza scosse da una poetica realista ad una astrazione di immagine, altrettanto e forse più liberamente poetica.
È il caso di Guido Pigozzi che alla pittura è giunto provenendo dall’architettura. L’architettura non è solo l’arte del costruire. O, meglio, è sì l’arte del costruire ma di un «costruire» che, come tale, è al fondo di tutte le arti: poiché v’è un architettonico costruire per un quadro, per un romanzo, per un’opera musicale. Così avviene che possa facilmente succedere che colui che fa di professione l’architettura senta di dovere, magari lateralmente o in tempo libero, trasmigrare in pittura o in altra arte, giungendovi già ammaestrato in tecniche «costruttive». Questo traboccare dall’architettura in pittura, dando nell’una e nel- l’altra arte pienezza valida di risultati, è precisamente quanto è avvenuto con l’architetto Guido Pigozzi di Tregnago (VR). Uomo dei Lessini, innamorato di antiche pietre e dei dolci, luminosi paesaggi della sua terra, egli divide la sua giornata e le sue sere tra i cantieri degli edifici da erigere o da restaurare e la pittura.
Dapprima la sua è la contemplazione – tela davanti e pennelli in mano – dei verdi declivi collinari splendenti sotto gli aperti cieli e dei piccoli cascinali sparsi e avvolti di silenzio.
È questo il primo modo con cui l’architetto che continua a esercitare l’architettura diventa pittore ed è questo il cammino che porta, dal- le sue prime lontane prove pittoriche, ancora debitrici al disegno architettonico, scandite sul ritmo scalare degli edifici e sulle scansioni precise degli ordini spaziali, ad un fondamentale affinamento di una tecnica del dipingere sempre più libera ed autonoma.
Ma già, in quelle sue lontane prove degli inizi degli anni ottanta, emerge chiaramente una degustazione veneta del colore, dapprima ritma- to in accordi diversi, quasi in tarsie, e poi, sempre più con il progressivo impadronirsi dei mezzi e della strumentazione pittorica, approdato a larghe sintesi di piani e di distese di luce, sull’alto, dove qualche raro casolare (che a volte sembra persino ripetere antichi moduli cimbrici) se ne sta in mezzo ai prati a godersi pigramente il giro del sole.
Ebbene: proprio queste ampie vedute paesistiche hanno costituito il primo solido e valido risultato dell’opera pittorica di Guido Pigozzi, fattosi cantore della sua terra, dove la tenerezza dei verdi e degli azzurri non turistizzati fanno paesaggio vero perché è vero paesaggio del sentimento.
Passando ora ad esaminare le opere più recenti di Pigozzi, viene evi- dente una dimostrazione di come la pittura di un artista possa evolve- re con notevoli risultati dal semplice al complesso, dall’ingenuo mimetismo naturalistico alla liberazione dell’immagine della più assoluta figuralità immaginativa, fatta potente per sé stessa e non più succube di un reale o cosiddetto reale “esterno”».
E questo senza alcun ossequio a mode o a forme programmatiche di qualche poetica ideologica, ma per un’attenta ricerca liberatrice tutta interna alla propria natura e al proprio mondo: anche se può sembra- re difficile trovare successivi passaggi di un periglioso cammino che parte dai primi, ancora dilettosi, paesaggini delle collinose praterie e dei piccoli cascinali della Lessinia, su su fino a queste ultime opere fantasmatiche, di pura immaginazione, dove una tecnica pittorica, fattasi ormai sapiente d’ogni organizzazione degli impasti delle materie e delle velature nonché delle più-ampie e sicure sintesi coloristiche, raggiunge una straordinaria forza evocativa.
Si vedono allora emergere tra l’ondeggiare di fumi nerastri e di tempestose atmosfere di cieli squarciati, griglie quadrettate che ritmano vuote occhiaie di palazzi come svuotati da un bombardamento aereo, o inferriate di prigioni abbandonate o inutili e vaneggianti scale geo- metriche che salgono verso il cielo a tentare misure d’ordine nei turbini di un caos originario.
Come molta pittura contemporanea della ricerca più avanzata, anche qui si può dire che il rapporto, che la scienza contemporanea viene ogni giorno più mettendo in luce, tra misure e scale di proposte d’ordine e sopraffacenti dinamiche spaziali di un originario disordine caotico, prenda ormai il sopravvento figurale e segni il nuovo fare artistico della piena maturità estetica e pittorica del lavoro di Guido Pigozzi.
Dino Formaggio