Le opere
IL CEMENTIFICIO DI TREGNAGO
Il cementificio di Tregnago è mio padre. Io e le mie sorelle portavamo, con la bicicletta, da mangiare a mio padre quando faceva i turni di lavoro continuativo alla Italcementi di Tregnago.
D’estate la società bergamasca ci offriva un mese di vacanza nella colonia estiva di Cesenatico. Nel 1973 chiusero i battenti e molti operai furono costretti al trasferimento: chi a Imperia, chi a Rezzato (Brescia), chi a Cividale del Friuli e chi a Porto Empedocle che era la destinazione per mio padre. Mia madre non volle saperne mentre lui avrebbe quasi accettato, seguendo il suo diligente compito lavorativo. Fu licenziato e iniziò un altro lavoro fino alla pensione.
Ho potuto vedere il cementificio di Porto Empedocle molti anni dopo: era vicinissimo alla casa di un certo Pirandello.
La “Fabbrica”, come diciamo da queste parti, si fermò definitivamente dopo il 1973 e fino al 2001 rimase abbandonata.
Nel 1987-89, dopo moltissimi anni, entrai in quel contesto industriale sentendo un’emozione particolarissima dovuta forse al silenzio interrotto solo dal battito delle ali dei piccioni e dalla sensazione di una presenza umana trascorsa intensamente nel lavoro. Fui catturato dalla struttura, coinvolto dalla sua articolazione architettonica e funzionale. Così iniziò un amore immenso. Iniziarono i primi quadri, disegni, schizzi immaginativi e nel ’92, a seguito di un periodo di paura che il complesso potesse essere demolito, lo avevo rappresentato incendiato e quasi bombardato, per passare poi a una fase molto positiva di cieli azzurri e di voli pindarici.
Nel frattempo il Comune di Tregnago modificò le previsioni urbanistiche e iniziò un percorso di riconversione di tutto il complesso.
Oggi in quell’area sono stati realizzati un auditorium pubblico, esattamente dove prima si cuoceva il materiale per ottenere il cemento, le scuole nuove, antisismiche, per i ragazzi di Tregnago e il palazzetto dello sport. All’ingresso della scuola c’è lo stesso cancello che vedevo io da ragazzo quando portavo da mangiare a mio papà.
Tutto questo è anche merito della mia fastidiosa ossessione che, attraverso un’idea dapprima solo fantasticamente rappresentata, è diventata pura realtà tanto che recentemente ho acquistato una parte del vecchio fabbricato, che diverrà il mio laboratorio per il lavoro di architetto e una galleria per i miei dipinti.